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IL DEBUTTO "Nine" diretto da Marconi tratto da "8 e mezzo" Fellini alle Folies Bergère Et voilà, Fellini è arrivato alle Folies Bergère, nella cui sala con passerella luminosa sopraelevata, da qualche anno si fa teatro e non solo varietè. San Federico, ovvero il nume tutelare del cinema, giacché "Nine" è il musical da "8 e mezzo", così come nell'82 l'ha inteso Broadway, complici Arthur Kopit e Maury Yeston, ambientato da Tommy Tune in una Venezia kitch e con Raoul Julia nei panni di un «cineasta italiano adulto e vaccinato» di cui si balla e si canta l'ultimo giorno di carriera. Riveduto e corretto all'europea da Emmanuel Schmitt ("Il Visitatore") e diretto con competente passione da Saverio Marconi, il nuovo "Nine" parigino, accolto all'anteprima con grande calore, è uno show festosamente drammatico e drammaticamente festoso nel raccontare gli incubi di un regista che non sa più quale film fare e quali donne amare: la moglie, l'amante, la madre remissiva, la produttrice credente nel cinema come sogno, la diva stereotipata o la critichessa noiosa dei "Cahiers du cinema"? Un harem, tutte donne meno lui, Guido Contini, genio compreso che vorrebbe filmare la sua "collezione" femminile, leccandosi maxi-sensi di colpa cattolici nel geniale finale del primo tempo col song del «kyrie eleison» e una invasione di suorine felliniane dall'alto. Ma scoprirà che vivere vuol dire accettarsi anche nella confusione: chi ama "8 e mezzo", ricorda questa battuta catartica, cui segue il celebre girotondo. Peccato non ci sia Rota, se non nei refrain diffusi nel foyer del teatro vecchio 128 anni e decorato, oltre che con 30 disegni della Fondazione Fellini, di caricature d'epoca, Gabin e Mistinguett, Chevalier e la Baker. La colonna sonora di Yeston adattata da Bernard ed eseguita da 5 affiatati elementi, non va oltre la categoria del piacevole-scorrevole. "Ho dovuto resistere - spiega Marconi -. Rota appartiene a un altro mondo. Non volevo gareggiare con un film memorabile ma, col teatro, farlo rivivere, interpretando Fellini col senno del cinema di poi". Così, nell'elegante spettacolo di 100' in bianco e nero, nella monastica e funzionale scena di David Belugou, Marconi ha sparso citazioni dal film con Mastroianni: intanto il cappellaccio nero e gli occhiali; poi la negretta discinta, Guido trainato dalle donne sul lenzuolo, la discesa delle terme, la vecchia soubrette che permette uno spettacolare pedaggio sul mondo e le piume delle Folies Bergère; naturalmente la Saraghina (una verace italiana, Mimma Lovoi) e il piccolo Guido intabarrato come Léaud nei "400 colpi": "Che sia stata tutta colpa del collegio religioso?", chiede la madre in ritardo. Ma quando sembra tutto finito e Guido lascia tutto, invita, stavolta in anticipo, a "lasciar spazio alla tv". Teatralissima la trovata della tiara vuota e illuminata del cardinale. Si intuisce, nel toccante spettacolo, un certo vizio di fondo americano, ridurre la complessità di un capolavoro al desiderio di onnipresenza e a una crisi sentimentale, sottovalutando quella esistenziale e creativa: ma il modello era intraducibile. Tra le sue donne, accanto alla moglie e alla madre che se l'intendono edipicamente, è valorizzata la diva divina che nel film era la Cardinale, mentre l'amica Sandra (che era la Milo) fa capriccetti erotici doc. Il mondo (almeno onirico) è delle donne e Marconi, con un certo fiuto, la mette così: "Folies Bergère o no, il gentil sesso è sempre stato per Fellini il motore ispiratore". Segue qualche casta nudità, per restare in tema. Ma nel musical "interiore", in scena almeno due mesi, vicino a 14 signore spiritosamente sintonizzate, il motore è Jerome Pradon, emergente star, bravissimo nell'alternare parola e musica. E a momenti, sarà per nostalgia, sembra perfino somigliante al caro Mastroianni. |
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MAURIZIO
PORRO La Repubblica Septembre 97 |
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